Finalmente “il paese più bello del Molise”, secondo alcuni. Oratino di qua, Oratino di là: bellissimo, per carità, ma manco Madonn’ e Sant’Antonj’ (per i non indigeni, espressione equiparabile al “manco è tutta ‘sta cosa”). Ma forse è colpa dell’hype alle stelle con cui ci sono arrivato.
Oratino, 1700 abitanti, però è esempio illustre di come la cura dei particolari, una certa attenzione urbanistica (ereditata eh, da un sovrano illuminista e illuminato), la pulizia – e ristoranti in grado di soddisfare i palati campobassani – possano garantirti un posto nella classifica di “I borghi più belli d’Italia”.
Loretinum, fondazione normanna, XI-XII sec. Al tempo c’erano senz’altro la chiesa oggi dedicata a Santa Maria Assunta e, a valle, un insediamento incastellato, alla base di una rocca – la “Rocca” – su cui si erge ancora l’antica torre d’avvistamento. Il castello, ovviamente, distrutto dal solito terremoto del 1456. Da quel momento, Oratino fu solo il paese in alto.
Siamo a quasi 800 metri sul mare e la vista sulla fondovalle del Biferno è, credo, tra le più belle del Molise. Limitrofo al belvedere, il castello trecentesco, più volte rimaneggiato dall’infinità di feudatari che si sono contesi cotanto panorama. Vanno ricordati, come minimo, Sancia d’Aragona, la moglie del re Roberto d’Angiò, e Giuseppe Giordano, esponente della famiglia di rango ducale che lo acquisì dal 1699, il quale a metà Settecento decise di impreziosire i palazzi e gli scorci. Saltano all’occhio le innumerevoli targhe ad artisti settecenteschi francamente sconosciuti ai più ma di cui gli oratinesi vanno giustamente orgogliosi, e del valore di alcuni dovremmo andare orgogliosi tutti noi molisani. Tra questi, Ciriaco Brunetti, di scuola napoletana, al quale si devono innumerevoli opere d’arte sparse nel centro-sud Italia e che qui affrescò le chiese, compresa quella dell’Assunta che abbiamo – ça va sans dire – trovato chiusa (per restauro).
E poi ci sono le tradizioni – ah che belle le tradizioni! Oltre a San Bonifacio, patrono, Oratino festeggia, il giorno della vigilia di Natale, “la Faglia”. Dunque, immaginate che questi per mesi vanno in giro per i campi, anche dei paesi limitrofi, alla ricerca delle canne perfette, le più dritte, le più belle, le più lunghe. Le fanno essiccare, le uniscono in un fascio di un metro e più di diametro, di 14 metri e più di lunghezza. Trasportano poi ‘sto fascione a spalla in cinquanta e lo innalzano davanti al campanile della chiesa madre. Qui, di notte, con la campana a distesa, viene incendiato. Che cos’è la bellezza? Faticare per poi bruciare il frutto di tanta fatica.
Comunque avevamo una cena prenotata a Ripalimosani e il sole tramontava e puzzavamo. Casa.
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