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Molise 21/136 – Casacalenda

Casacalenda ha 2000 abitanti ma è il classico paese che ne dimostra di più. Certo, a camminare per il centro storico si respira desolazione, ma la parte nuova (e per nuova intendo costruita dal Settecento in poi), nuovo centro, pullula di persone. È un po’ la tipica cittadina a misura d’uomo, calata ovviamente nella realtà, e nei numeri, molisani. A Casacalenda, insomma, si vive bene. Il negozietto, il baretto, il liceo, le mozzarelle, l’aria buona dei 640 m di altitudine. E poi oh: Molise Cinema, non so se…! La più importante manifestazione regionale sul cinema, che ha accolto, negli anni, nomi davvero importanti, come l’ubiquo Pierfrancesco Favino.



Ma poi ci sono anche tradizioni suggestive e silenziose come la processione del Venerdì Santo con un Cristo morto tra i più belli che io abbia mai visto, e tradizioni chiassose come quella sansilvestrina del bufù (nome onomatopeico), un tamburo ricavato in una botte e suonato non con bacchette ma con un bastone legato al centro della pelle e su cui scorrono a tempo mani per forza bagnate.



Governata da sempre da famiglie importantissime come Caracciolo, De Capua e Ametrano, gli speculatori spagnoli del Cinquecento, nel 1580 Casacalenda passa per successone dinastica agli importantissimi De Sangro, che, esattamente come faranno un secolo dopo a Larino, ampliano e impreziosiscono l’imponente Palazzo Ducale. A un De Sangro, Scipione, si deve la Porta Capo, con la K, stemma cittadino (ci arrivo), come architrave, e l’arrivo dell’acqua in paese, vomitata dai tre mascheroni della Fonte del Duca dal 1645.



A un De Sangro, ancora Scipione, si deve un sanguinario assalto al paese durato tre giorni, nel febbraio 1799, che pose fine all’esperienza rivoluzionaria casacalendese guidata da Domenico De Gennaro (altra famiglia importantissima che, nei secoli, dal Sedile di Porto della capitale Napoli arriverà a Larino, dopo un dirompente passaggio per Casacalenda). A un Di Blasio – cambia il cognome ma non il nome –, sempre Scipione, senatore del Regno d’Italia, si deve la tratta ferroviaria Campobasso-Termoli. Tra l’altro casa sua diventerà, nel 1940, un campo di concentramento al femminile per ebree e antifasciste.



Dalla Porta Capo si entra nella Terra Vecchia, il centro storico, un po’ abbandonato ma molto, molto affascinante. Subito a sinistra, il cortile del Palazzo, di fronte invece, la chiesa matrice con uno strano doppio ingresso, in entrambi i casi laterale: uno introduce a una quarta navata voluta dal Tria nel Settecento, l’altro invece presenta una lunetta con l’incontro tra Maria e Elisabetta e, più in alto, una croce bizantina, testimonianza di origini altomedievali abilmente mascherate da continui restauri e trasformazioni. All’interno, varie opere d’arte e, su tutte, la pala d’altare della Natività realizzata dal grande pittore napoletano Fabrizio Santafede, a inizio Seicento a Casacalenda per nascondersi, presso i De Sangro, da guai con la giustizia.



Ancora tante cose da dire: l’Oasi Lipu di Bosco Casale; il Museo all’aperto di arte contemporanea, con tanto di gigante di pietra tra gli alberi (Il Poeta di Costas Varotsos); l’eremo quattrocentesco di Sant’Onofrio Anacoreta, il santo peloso, patrono del paese; il Santuario della Madonna della Difesa che, a settembre, da Larino si raggiunge a piedi; e infine, cioè all’inizio, le origini.



Perché “Casacalenda”? Casa da Casale, Calenda forse dalle Calendae romane, i primi giorni del mese, giorni di riscossione delle imposte, di cerimonie e di mercati. E infatti fino al secolo scorso a Casacalenda c’erano importanti fiere al primo del mese. Senza dubbio quindi il paese esisteva già all’epoca di Roma, ma non si capisce bene cosa ci fosse prima. Tito Livio e Polibio dicono che nel 217 a.C. l’esercito romano del console Minucio si accampò nell’agro larinate e ad Arx Kalela (da cui Kalene, il nome più antico della città, e da qui la K, suo simbolo), dove “arx” stava per cittadella militare arroccata: ma allora Kalela era il nome della località da cui nascerà il castrum o era un castrum romano preesistente? O era addirittura un villaggio frentano nato prima dell’arrivo di Roma? Non sono riuscito a capirlo.



Sicuramente preesistente era, a 3 km da Casacalenda, la frentana Gerione. Ci si arriva scalando, per modo di dire ovviamente, un monte di 600 metri. Da su si domina un’ampia vallata circostante, ma non si vede neanche una città. Niente. Un punto cieco, nascosto a chiunque. E chi se non Annibale poteva intuirne le potenzialità strategiche?



Arrivò, distrusse Gerione, innalzò un tempio alla dea cartaginese Tanit (di cui resta il simbolo su una stele), annientò, col classico accerchiamento, l’esercito romano. Brutto essere sconfitti cento volte nella stessa maniera… Poi, tra l’altro, Gerione risorge, diventa un importante castello medievale. Ma la peste del Trecento ne decima la popolazione, il terremoto del 1349 la rade al suolo, e i superstiti la abbandonano. I suoi ruderi sono ancora lì, nel verde, nascosti da occhi indiscreti. Il sole tramontava sul Basso Molise: casa.

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