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Molise 12/136 – Venafro

Aggiornamento: 12 lug 2022

Nel mio immaginario Venafro, 11.200 abitanti, quarto centro del Molise, era la SS85 che taglia in due la città, quella che bisogna attraversare per arrivare a Roma. Una costellazione di bar e caseifici (Dio benedica la bufala) a sfruttare un passaggio obbligato. Insomma, sapevo già fosse molto più di questo, ma le sue ricchezze sono rimaste per troppi anni nascoste dietro quella funzione topologica. Che poi, la sua storia è un po’ anche la storia di quel passaggio obbligato. A Venafro so’ passati tutti. Ma tutti. Pompeo. Orazio, Plinio e Marziale. L’imperatore Galerio, che ha portato un olio ancora oggi rinomato. Carlo Magno (cioè, Carlo Magno!) diretto contro i Longobardi. Carlo VIII di Francia. Vittorio Emanuele II, la notte prima di incontrare Garibaldi a Teano. Padre Pio, sì, Padre Pio. Tutti insomma, non solo io. E ci passava anche la linea Gustav; e ci passarono quegli aerei alleati che il 15 marzo 1944, scambiandola per Montecassino, bombardarono e distrussero mezza città (91 morti).



Il passaggio è quindi un concetto chiave, ma quello che resta dopo il passaggio, ciò che non passa, è ciò che avrei dovuto scoprire molti anni fa: Venafro è meravigliosa.



Fondazione: leggenda vuole Diomede, l’eroe troiano; in realtà, i ben più cazzuti Sanniti Pentri (fossi in loro cancellerei la tradizione). Teatro di guerre sannitiche, quando fu distrutta e ricostruita come colonia romana, teatro anche di una delle battaglie decisive della Guerra sociale nell’89 a.C., durante la quale fu espugnata dai romani, contro-espugnata da un frentano (eh eh), distrutta da Silla, infine ricostruita, innalzata a municipium e pronta ai fasti dei secoli successivi. C’è un anfiteatro, il Verlascio, “camuffato” (non saprei definirlo in altro modo), un teatro, un acquedotto, moltissimi reperti sannitici e romani, conservati al Museo archeologico – chiuso il pomeriggio. Il 17 giugno del 303 furono qui giustiziati due valorosi soldati romani di origine bulgara, Nicandro e Marciano, e la moglie del primo, Daria, che secondo tradizione li aveva convertiti al cristianesimo. Martiri quindi, le cui reliquie sono conservate in una basilica-convento all’ingresso del paese, ancora oggi protettori e protagonisti di suggestive ed estenuanti, e suggestive perché estenuanti, processioni notturne, con tanto di canti da intonare presso edicole a loro dedicate e presenti ogni venti metri nel paese. Che roba straordinaria le tradizioni!



Diocesi dal V sec., Cattedrale antichissima quindi (ma nella forma attuale risalente al Trecento), fuori le mura, come si usava al tempo dei Longobardi. Longobardi che stabilirono il loro quartier generale per il controllo della zona proprio nel Verlascio per poi abbandonare la città romana nella spianata, dove oggi c’è la parte nuova, e inerpicarsi sul fianco della montagna, dove oggi sorge il centro storico (la dislocazione è un must: Larino docet). Qui costruirono, nel X sec., un mastio a pianta quadrangolare. E il mastio fu poi ereditato dai Normanni e poi dagli Angioini e quindi divenne un castello – forse il più bello della regione, insieme a quello di Gambatesa – e infine, sotto gli Aragonesi, passò ai Pandone che gli danno tuttora il nome, non foss’altro che per la rinascita che garantirono alla città dopo secoli bui e l’onnidistruggente terremoto del 1456.



Enrico Pandone amava i cavalli. Ma di un amore malato. Tra il 1522 e il 1527 fece quindi ricoprire le pareti delle stanze del castello di affreschi con cavalli a grandezza naturale. Così, de botto. Tra questi anche quello che aveva donato a Carlo V, prima di tradirlo, e prima che quest’ultimo, in tutta risposta, lo facesse giustamente decapitare nel 1528. Più tardi i Lannoy, feudatari, faranno ricoprire ‘sti cavolo di cavalli (scherzo ovviamente, sono bellissimi); ma soprattutto realizzeranno nel salone quel fregio che mai ti aspetteresti di trovare in Molise. Che poi… Venafro era città campana, annessa al Molise solo nel 1863, con sacrosante sollevazioni popolari che non andarono a buon fine.



Poi c’è il Museo nel castello, allestito meravigliosamente, con un percorso artistico che va da pezzi d’affresco del VII sec. a una foto scattata a Venafro da Robert Capa. Poi la palazzina liberty, che fu centrale idroelettrica. Poi le pietre romane con cui, come al solito è stato costruito il centro storico. E poi le chiese. Chiese everywhere. 33. Sì, 33 chiese. Tutte chiuse, alcune proprio abbandonate, altre per la mia solita sfiga, ma comunque di un fascino incredibile: scandiscono i passi nella città, le danno un ritmo, un colore, una sinuosità, ne definiscono lo stile. Ci sarebbe tantissimo da dire ma dovevamo proseguire per Roma. Quindi, casa.



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