Togliamoci subito il dente. Di Ferrazzano è originaria la famiglia di Robert De Niro. Sì, Robert De Niro. Nel 2016, dopo il trionfo di Trump dichiarò che si sarebbe trasferito qui. Non l’ha fatto: peggio per lui! Ora c’è Biden negli States, ma vuoi mettere Biden con la ‘mbaniccia (pizza di granturco con verdure di campo insaporite, siccome sa di poco, con bollito di immancabile porco)?

A Ferrazzano (3300 abitanti, patrono Sant’Antonio) spicca una certa cura nelle cose, c’è attenzione, ci sono le piante a decorare i portoni delle case abbandonate, e la pavimentazione è tutta in ordine. Segni di un paesotto con una certa coscienza di sé, e che si è giovato della prossimità alla vicinissima Campobasso. L’intreccio di stradine non è di quelli convenzionali, è un dedalo di pietre, tipico dei centri storici ma soprattutto di quelli sorti sul cucuzzolo di una montagna, dove un’eccessiva simmetria / significa creare una galleria / al vento che ti si porta via.

Siamo in alto, parecchio se consideriamo che affacciandoci vediamo in basso la per niente bassa (oggi va così: giochi di parole) Campobasso – tolto ovviamente il Cardarelli che fra un po’ andavano a costruirlo sulle Dolomiti. 870 metri che le hanno valso l’appellativo di “sentinella del Molise”, o più rusticamente “lu spione”. La vista è mozzafiato, e anche in un giorno con foschia si domina mezzo Molise e si lascerebbe volentieri lo sguardo fisso per giorni sulle vette innevate della Majella e del Matese.

Un po’ di storia. Secondo uno storico locale di fine Seicento, Francesco De Sanctis, Ferrazzano corrisponde all’antica Ferentinum, una delle ultime roccaforti a cadere nella Terza guerra sannitica. Falso, quella Ferentinum era molto più a Sud. Certo è che, malgrado le esigue tracce archeologiche, in età preromana un promontorio così strategico (e fertile, per giunta) non poteva non essere sfruttato in qualche modo, anche a scopo puramente difensivo. E infatti ci sono, quelle sì, tracce di antiche mura ciclopiche.

L’origine del nome è controversa: c’è un latino “praedium Farrax”, un altomedioevale “loco Firaciani”, un longobardo “fara di Azzone”, e forse longobarda fu la prima fortificazione, quella che diverrà a fine Quattrocento palazzo signorile con Geronimo Carafa. Bellissimo peraltro, ben conservato pure questo, e soprattutto simbolo di una potenza che in quella fase la vicina Campobasso si sognava (l’ascesa sarebbe iniziata comunque di lì a poco).

Del periodo normanno (1065) è anche la chiesa dell’Assunta, romanica, con inequivocabile portale duecentesco a tutto sesto e uccello (simbolo dei fedeli) in lunetta. Antichissima dunque, secondo la leggenda una di quelle costruite dal Re Bove prima di morire per mano del Diavolo a Matrice, ma tra le più sfigate: fu danneggiata decine di volte, la più clamorosa delle quali nel 1658 quando il campanile fu abbattuto da un fulmine. Morale della favola, dell’antichissima chiesa all’interno non resta quasi nulla. Resta il pulpito meraviglioso, col suo marmo in terra di Siena e la sua simbologia stramba: su un capitello c’è un tale che vuole ammazzare l’ineluttabile Basilisco a colpi d’accetta, una donna piegata, un dromedario, così, a caso, e una figura in cui alcuni rivedono Federico II, opera forse dell’artista federiciano Alfano da Termoli. Qualcuno su Wikipedia ha scritto che “non trova riscontri in Molise per il livello qualitativo”. Mi sembra un tantino esagerato sinceramente.


Ha molto più senso invece dire che il LOTO (Libero Opificio Teatrale Occidentale), ricavato da una vecchia sala parrocchiale ristrutturata secondo le geometrie del Feng Shui, sia il più bel piccolo teatro d’Italia: un record ogni tanto ce lo dobbiamo prendere. A quel punto, si riprende la macchina, si scende lungo la pineta e si torna a casa.

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