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Molise 14/136 – Matrice

Ripalimosani è per la Bifernina ciò che Matrice è per la Statale 87: l’anticamera di Campobasso, e anche qui sono molti i campobassani che hanno trovato la tranquillità, mimetizzati tra i 1100 residenti. Ma per Matrice passava anche un’altra strada, ben più resistente ai secoli e alle frane della SS87: il tratturo (e forse da qui prende il nome: “matrix”, solco). Sull’importanza storica, economica e religiosa dei tratturi non mi dilungo; per ora basti sapere che qui c’era una diramazione fondamentalmente per i pellegrini. Ma ci arriviamo.



L’origine di Matrice è antichissima: c’era un villaggio sannitico di contadini e pastori nella località di Colle Melaino, sulla cui cima forse sorgeva un tempio. E possiamo immaginare che ‘sto tempio diventò romano quando la Matrice di allora diventò romana (ci sono anche i resti archeologici di una villa). E possiamo immaginare che sotto i Longobardi questo tempio diventò progressivamente chiesa… Ma ci arriviamo.



All’insediamento originario di contrada Vicenne, i Longobardi aggiunsero un altro insediamento, Casale, e solo con Castello costruita dai Normanni Matrice assunse la posizione attuale, soprattutto perché a Castello confluirono, dopo il terremoto del 1456, quelli di Vicenne e Casale. Qui a Castello, comunque, un castello non c’è più. C’è una chiesa antichissima, dedicata a San Silvestro, del 1246, ma fu a un passo dal crollare (e quindi ristrutturata) così tante volte da aver perso qualsivoglia indizio di cotanta antichità. Almeno immagino, dato che era chiusa.



In essa sono conservate le reliquie del patrono, il martire Urbano, arrivate da Roma nel Settecento grazie all’arcivescovo di Campobasso Francesco Pacca, esponente dei Pacca, feudatari di Matrice. Ma, Sant’Urbano a parte, è la Madonna la vera protagonista della religiosità matriciana. Sentitissime sono infatti le feste dell’Assunta ad agosto e quella della terza domenica di maggio, quando, dopo averne prelevato la statua un mese prima, la Madonna viene ricondotta in processione verso Colle Melaino, in un luogo incantato che la ospita tutto l’anno. Arriviamo finalmente alla chiesa di Vicenne, quella sorta forse su antichi resti, meta di pellegrinaggi, avvolta dal mistero, meravigliosa.



Santa Maria della Strada è tra le più antiche e suggestive chiese molisane. Consacrata nel 1148, fu costruita quasi certamente prima dell’anno Mille dai Longobardi, tanto che in un documento del 1036 poteva già segnare i confini del territorio di Montagano. Ma indipendentemente dalla sua fondazione storica, è la leggenda, come sempre, la cosa più interessante. Facciata: sopra il rosone, un’aquila con tre teste fra gli artigli, simbolo di Cristo che eleva al cielo i giusti (è andata meglio, sul portale laterale, a Alessandro Magno, elevato da due grifoni e con la testa attaccata al corpo), ai lati due buoi




C’era una volta un cavaliere valoroso, lo chiamavano Re Bove. Grandi imprese, gesta eroiche, ma anche un grande tormento interiore: Re Bove amava sua sorella. La notizia arrivò al papa e il papa scomunicò Re Bove: non c’era indulgenza per un simile peccato, neanche se avesse costruito 99 chiese in una notte. Re Bove capì che avrebbe dovuto costruirne cento. E c’era solo un modo per farlo. Re Bove strinse un patto col Diavolo. Il Diavolo costruì per lui quella notte 98 chiese, sparse per il Basso Molise, la numero 99 era Santa Maria della Strada. Ultimata l’opera, però, il Diavolo scagliò un sasso in testa a Re Bove, in modo che questi non potesse ottenere il perdono. Allora Re Bove lo chiese direttamente a Dio. Lo ottenne e da quella notte il suo corpo giace lungo una navata della chiesa, in una meravigliosa sepoltura scultorea.



In realtà il Re Bove lì dentro è tale beato Bernardo d’Aquino, un nobile campobassano del Trecento di cui non sappiamo nulla. E sappiamo poco, o troppo, anche dei bassorilievi sulla facciata: per alcuni, scene di transumanza; per altri, episodi della Chanson de geste; per altri ancora, passi illustrati della Bibbia, in particolare dell’Apocalisse, laddove una donna dai capelli di fiume che avanza placida a cavallo (nel timpano) non può che essere la Gerusalemme celeste descritta così da Giovanni. Stupenda, da perderci la testa. E poi, solitaria, sulla collinetta, in un’atmosfera sognante… interrotta da ‘sto tipo palestrato che girava in tondo senza maglietta. Casa.




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